Individuazione delle possibili cause





Il cosiddetto “ciclo commerciale”, composto da una fase espansiva e da una depressiva era ben noto a tutti gli uomini d’affari fin dall’Ottocento.
Già all’inizio degli anni ’20, infatti l’economista russo, N. D. Kondrat’ev (poi vittima del terrore staliniano) aveva individuato un modello di sviluppo economico valido a partire dalla fine del Settecento e contraddistinto da una serie di onde lunghe (note con il nome di Onde di Kondrat’ev) della durata di circa cinquanta – sessant’anni, pur non sapendo fornirne una spiegazione soddisfacente (già i socialisti, primo tra tutti Carl Marx, avevano notato tali cicli, interpretandoli come parte di un processo attraverso il quale il capitalismo generava contraddizioni interne che prima o poi sarebbero risultate insuperabili). L’illustre economista russo aveva previsto che l’epoca dell’onda lunga dell’economia mondiale fosse, proprio negli anni in cui scriveva, prossima al punto di discesa; la novità nella crisi del ’29 fu però che per la prima volta le fluttuazioni del capitalismo parvero mettere in pericolo lo stesso sistema economico capitalistico. Il periodo che va dalla Rivoluzione industriale agli anni ’20 fu caratterizzato da un progresso accelerato: la rete dei flussi e degli scambi commerciali legò ogni parte dell’economia mondiale al sistema globale; il progresso e la crescita economica, d’altro canto, non si arrestarono nemmeno nell’Età della Catastrofe, rallentarono solamente: ciò che si fermò del tutto fu il processo di mondializzazione dell’economia. Se, infatti, gli anni precedenti erano stati il periodo delle più grandi emigrazioni di massa della storia, in seguito questo flusso si inaridì, arginato sia dagli sconvolgimenti bellici che dalle restrizioni politiche, conoscendo una vera e propria stagnazione nel periodo della Grande Crisi.


A partire dal 1913, gli USA erano divenuti senza dubbio la più grande economia mondiale ed i maggiori creditori del mondo; d’altro canto i paesi sconfitti e vittime di gravi crisi sociali (dalla Germania alla Russia sovietica) subirono un crollo vertiginoso del sistema monetario: in breve il risparmio privato scomparve del tutto creando così un vuoto quasi completo di capitali da investire in attività produttive e questo spiega la dipendenza quasi assoluta dai prestiti esteri dei tedeschi in questi anni e la loro insolita vulnerabilità alla crisi. La situazione nell’URSS era molto simile anche se la cancellazione dei risparmi privati in forma monetaria non ebbe le stesse conseguenze economiche e politiche.


Quando nel ’22 - ‘23 molti governi provarono a combattere l’inflazione stampando senza freni nuova carta moneta o cambiando la valuta, i tedeschi che vivevano di risparmi o di redditi fissi si trovarono improvvisamente sul lastrico ed il conseguente trauma per le classi medio - basse preparò il terreno per l’avvento dei totalitarismi. Il crollo dei prezzi dimostrò semplicemente che la domanda non poteva tenere il passo della capacità produttiva, né si deve trascurare il fatto che l’espansione fu largamente alimentata dagli enormi flussi internazionali di capitale che si spostarono dai paesi industrializzati verso la Germania. Quello che nessuno si aspettava però fu la straordinaria estensione della crisi che portò al ribasso ogni indice economico ad eccezione di quello della disoccupazione.
Il sistema economico mondiale non reggeva più anche a causa della scarsa partecipazione ed interesse degli USA verso le altre nazioni e del loro mancato contributo alla stabilizzazione economica al contrario degli Inglesi (ad esempio) che, ben consci del fatto che il sistema dei pagamenti mondiali si fondava sulla sterlina, assicuravano alla loro moneta un relativo equilibrio. Inoltre le esportazioni statunitensi, salvo poche eccezioni (quali il settore cinematografico)  contribuivano al reddito nazionale in misura assai più ridotta rispetto ad altri Paesi, senza contare che, semplicemente, l’economia mondiale era incapace di generare una domanda sufficiente ad alimentare un’espansione durevole. Ciò che stava accadendo (e che spesso accade nelle fasi di grande espansione delle economie a libero mercato) era che, essendo i salari in ritardo rispetto alla crescita economica, i profitti si accrescevano in maniera sproporzionata ed i ricchi ottenevano una fetta decisamente maggiore della torta del reddito nazionale. Quindi, poiché la domanda non poteva tenere il passo con la produttività rapidamente crescente del sistema industriale, si generò sovrapproduzione e speculazione, cause ultime del crollo.


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